

di
Andrea De Angelis
Si ripropone ancora una volta la questione del
finanziamento pubblico ai partiti in Italia. La sua storia decennale, ormai nota, va dal referendum alle promesse elettorali, e scrive una nuova pagina con le parole di ieri pronunciate dal Presidente del Consiglio.
"
Ho aspettato fino ad oggi per rispetto ai partiti, Movimento 5 Stelle compreso,
e al Parlamento, ma se non si interverrà
entro i 6 mesi dall'inizio della legislatura, il mio governo procederà con un
decreto". Sembra dunque intenzionato a fare sul serio Enrico Letta, il cui ultimatum serve anche, probabilmente, a far dimenticare la promessa dei "100 giorni" non mantenuta: entro questo mese si sarebbe dovuto abolire il suddetto finanziamento.
Se in Italia dunque continua la rincorsa al provvedimento tanto atteso, in
Inghilterra le cose vanno diversamente. A Londra infatti vige un
sistema misto di finanziamento, con i fondi
privati che sono oltre il triplo di quelli pubblici. Sono stati i
laburisti negli scorsi giorni, dopo le richieste avanzate già in primavera, a chiedere che il
finanziamento pubblico tornasse a incidere con
maggiore peso sulla vita dei partiti. Il motivo? Evitare che i principali donatori privati possano indirizzare le scelte politiche, e dunque pubbliche, dei partiti che finanziano.
Ecco dunque la necessità, secondo
Ed Miliband, leader dei laburisti, di
mettere un tetto alle donazioni private di 5 mila sterline. Cosa rispondono i conservatori del premier
David Cameron? Che il vero scandalo è la
sproporzione, semmai, dei fondi
pubblici con l'80% destinato all'opposizione e, dunque, proprio ai laburisti. La spiegazione che arriva da Londra è chiara: chi governa può con maggiore facilità attrarre finanziamenti privati. In realtà così si avvalora la denuncia di chi vuole limitare questi ultimi...
Di certo guardare al
dibattito inglese è un modo, per l'Italia, di
evitare errori sull'onda del sensazionalismo e della crescita del consenso.