
Regole parlamentari. Sono la cruna dell’ago dalla quale dovranno passare le dimissioni dei parlamentari Pdl. Non basta rimettere il mandato nella mani dei presidenti dei gruppi parlamentari, nel caso specifico Brunetta e Schifani, tanto meno nelle mani del leader del partito, Silvio Berlusconi. Perché ci sono le regole, appunto. E i regolamenti di Camera e Senato parlano chiaro. Ecco come funziona e gli effetti politici che un gesto del genere potrebbe provocare.
LA PROCEDURA. I parlamentari che decidono di dimettersi devono presentare una lettera ai presidenti di
Palazzo Madama e Montecitorio.
LA PRASSI. I presidenti delle Assemblee convocano la seduta perché su questioni come questa spetta all’Aula pronunciarsi. Con un voto. Da tenere presenti
l’articolo 67 della Costituzione in base al quale “ogni membro del
Parlamento esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” e
l’articolo 23: “Nessuna prestazione personale può essere imposta se non in base alla legge”. Che tradotto vuol dire: ogni cittadino è libero di accettare o rifiutare la candidatura; in caso di dimissioni la stessa libertà decisionale è tutelata. Nel caso in cui la motivazione delle dimissioni è collegata alla volontà di un deputato o di un senatore per un’altra carica, il presidente lo comunica all’Assemblea che ne prende atto senza procedere a votazione.
VOTO A SCRUTINIO SEGRETO. Trattandosi di un atto che riguarda le persone, i regolamenti di
Camera e Senato stabiliscono che sia l’Assemblea a pronunciarsi tramite voto segreto.
L’articolo 49 (comma1) del Regolamento e l’articolo 113 (comma 3) del Senato, “la votazione ha luogo a scrutinio segreto poiché si tratta di una questione riguardante persone”. Non solo: esiste una prassi parlamentare, una sorta di codice non scritto, in base al quale le dimissioni di un parlamentare vengono respinte una prima volta, proprio come atto di fair play.
EFFETTI POLITICI. Secondo gli spifferi di
Intelligonews ad oggi non risulterebbero compilate né consegnati ai rispettivi capigruppo le lettere di dimissioni dei parlamentari
pidiellini. In altre parole, se ieri sera nella riunione congiunta dei gruppi tutti si sono dichiarati pronti alle dimissioni, ancora non risulta un atto formale. La situazione è in movimento, ma a giudicare dalle prime dichiarazioni di giornata sembra alquanto confusa.
Laura Ravetto a Omnibus dice che se decade Berlusconi “siamo tutti decaduti”.
Daniela Santanchè ci mette sopra il carico da novanta: conferma che i parlamentari del Pdl sono pronti alle dimissioni di massa “come un sol uomo e senza divisioni” e aggiunge: “Sto andando a consegnare le dimissioni nelle mani del mio capogruppo, poi il quattro ottobre vediamo cosa succede”. Poco dopo sulle agenzie
Maurizio Lupi spiega che “'Da qui al 4 ottobre ogni parlamentare del Pdl deciderà cosa fare”.
Daniela Santanchè ci mette sopra il carico da novanta: conferma che i parlamentari del Pdl sono pronti alle dimissioni di massa “come un sol uomo e senza divisioni” e aggiunge: “Sto andando a consegnare le dimissioni nelle mani del mio capogruppo, poi il quattro ottobre vediamo cosa succede”.
L’unica cosa certa è che, regolamenti parlamentari alla mano, se le dimissioni dovessero essere confermate e soprattutto presentate, con il voto segreto il Pdl rischia di consegnarsi mani e piedi al
Pd e al M5S che potrebbero votare a favore delle dimissioni ma anche “scegliere” chi salvare e chi accompagnare fuori dal parlamento.
I MALDIPANCIA DEI PEONES E IL PIANO B. L’ipotesi di una maggioranza alternativa nelle ultime ore torna al centro del dibattito politico e nei commenti dei parlamentari in Transatlantico. Altra incognita per il
Pdl perché non tutti tra deputati e senatori avrebbero certezze granitiche sulle proprie dimissioni. E l’attenzione si concentra tutta al
Senato dove il partito del
Cav., magari con l’appoggio della
Lega, non ha la maggioranza. E’ cronaca dei giorni scorsi di “fronde” senatoriali pidielline pronte a sostenere una maggioranza diversa da quella che il 22 aprile ha scelto di sostenere un governo di larghe intese. Anche perché in caso di elezioni anticipate molti senatori sanno già di non aver in tasca il biglietto per un altro giro di giostra. In sostanza: se con l’atto di ieri l’intenzione è aprire una crisi, non è detto – come i falchi continuano a ripetere al
Cavaliere – che in quattro e quattr’otto si torni alle urne. Su questo l’ultima parola spetta a
Giorgio Napolitano che stamani ha definito il gesto dei parlamentari pidiellini “un fatto istituzionalmente inquietante”. Basta la parola.