
Malumori, veleni, rancori, dubbi, tentazioni.
L'aria che si respira nelle Camere alla vigilia della grande partita per l'elezione del nuovo
Capo dello Stato appare confusa e potenzialmente tempestosa. Il rischio di imboscate è dietro l'angolo e gli esponenti delle minoranze dei vari partiti, nei colloqui informali in Transatlantico, non si nascondono. "Se esiste la possibilità che le minoranze del Pd e di Forza Italia possano fare asse e mettere in comune i loro malumori? Certo, i contatti non mancano e l'accelerazione sulla legge elettorale aiuta l'instabilità nei gruppi" dicono dentro Forza Italia e dentro il Pd. D'altra parte il Parlamento, nonostante sia trascorso soltanto poco più di un anno e mezzo dalla rielezione di
Giorgio Napolitano, ha cambiato profondamente volto ed equilibri interni rispetto a quel 20 aprile 2013, basti pensare che siamo a quota 156 cambi di casacca e il rimescolamento è continuo. Il Pd ha gruppi parlamentari bersaniani e una minoranza da mesi in bilico tra opposizione interna e scissione.
Forza Italia - dopo la scissione di Ncd - deve fare i conti con
i 37 della componente fittiana.
Sel si è spaccata in due e scissioni ci sono state anche in Scelta Civica.
I grillini perdono deputati e senatori ogni settimana e nuove perdite potrebbero esserci nelle prossime settimane.
Ncd ha linee diverse al suo interno, così come l'Udc divisa tra "casiniani" e "cesiani".
Perfino la Lega deve scontare qualche dissapore tra i
maronian-tosiani e i salviniani.
Insomma nessun gruppo è granitico e il voto per il successore di Napolitano potrebbe davvero rivelarsi esplosivo e sfuggire alle indicazioni delle segreterie. Con alleanze "dimostrative" su nomi di bandiera:
telegrammi di malcontento spediti ai rispettivi leader in una partita quantomai strategica.