
La ricorrenza odierna della Giornata mondiale della Menopausa offre un
interessante spunto di riflessione sulle problematiche ad essa connesse e in
particolar modo su i pro, i contro, i falsi miti e le verità scientifiche
connesse alle terapie ormonali elaborate in questi ultimi anni per aiutare le
donne ad affrontare gli “effetti collaterali” del passaggio all’età matura.
Molto si è parlato, negli ultimi anni, dei presunti rischi connessi
all’utilizzo di terapie a base di estrogeni od estrogeni combinati con
progesterone per affrontare i sintomi tipici della menopausa, quali ad esempio
le vampate di calore e una sudorazione particolarmente intensa. Ebbene, quella
se sembrava una convinzione diffusa e solida nelle sue fondamenta scientifiche,
ovvero che la somministrazione della terapia ormonale favorisse l’insorgenza di
patologie gravi come ictus, trombosi, tumori al seno e all’endometrio, è stata
recentemente smentita da un ampio e accuratissimo studio pubblicato sul “Journal
of the American Medical Association” i cui esiti sono il risultato di ben 18
anni di analisi e ricerca su un campione di oltre 26mila donne di età compresa
tra i 50 e i 79 anni. In basi ai risultati raccolti dai ricercatori americani,
quindi, il ricorso a terapie ormonali sostitutive non aumenterebbe il rischio
di morte nelle donne, a patto che si tratti di un percorso terapeutico della
durata non superiore ad un anno, a seguito dell’entrata in menopausa e che
vengano utilizzati dosaggi ormonali contenuti. Gli studi condotti sul campione
di indagine hanno evidenziato come l’indice di mortalità femminile registri
differenze decisamente minime tra le donne in terapia ormonale sostitutiva
(27,1%) e le altre donne (27,6%); uno scarto così contenuto da indurre gli
scienziati a ritenere che “Questi risultati supportano le linee guida che
raccomandano l’uso della terapia ormonale sostitutiva per le donne appena
entrate in menopausa che devono affrontare sia le vampate che altri sintomi.
D’altra parte, però, non fornisce prove a supporto dell’uso per la prevenzione
delle malattie cardiovascolari o di altre malattie croniche”.
Per completezza di cronaca è bene precisare che il ricorso alla terapia
ormonale sostitutiva riguarda una percentuale molto ristretta delle donne in
menopausa che in Italia non supera il 5%. Quattordici milioni di donne che,
come ammonisce l’esperto il Dott. Annibale Volpe, ordinario di ginecologia
all’Università di Modena e Reggio Emilia è bene facciano ricorso alla cura
ormonale “solamente in presenza di una chiara indicazione che tenga in
considerazione sintomi specifici: vasomotori, da atrofia urogenitale, dolori
muscolari diffusi. La terapia deve essere somministrata per il tempo necessario
che coincide con la manifestazione sintomatologica. Nelle donne che assumono la
terapia ormonale entro dieci anni dall’inizio della menopausa, ci sarebbe una
riduzione dei processi di calcificazione delle arterie coronariche, un
beneficio in termini di mortalità e un mancato aumento dell’incidenza degli
eventi cardiaci”. Oltre a benefici evidenti e alle rassicurazioni giunte
dalle ultime ricerche in materia, è bene ricordare che esistono alcune
situazioni in cui è sconsigliato assumere ormoni per contenere gli effetti
della menopausa, ovvero quando la donna
che intenda sottoporti al trattamento abbia sofferto in passato di tumore al seno o all’endometrio oppure se ha
una cardiopatia ischemica. Vi sono poi altre situazioni in cui la ricorso alla
terapia deve essere valutato caso per caso, qualora la paziente soffra di
patologie come l’obesità, di familiarità per il tumore al seno, di fibromi
uterini.
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