
di P. Giacobbe Elia
Davanti al sepolcro, seduto sulla pietra che lo chiudeva, un
angelo sconvolge le donne con un annuncio inaudito: “Il Crocifisso è risorto!”. Non dice Gesù è risorto, ma il “Crocifisso è risorto” (Mt 28,5s),
accentuando il “modo” del suo supplizio, riservato a coloro che commettevano i
delitti più infami. Questo il racconto di Matteo. Più articolata è la redazione
di Giovanni. La domenica di Pasqua “di buon mattino, quand’era ancora buio”,
Maria Maddalena si precipita al sepolcro e lo trova vuoto. Smarrita corre ad
avvertire Pietro e Giovanni, che la seguono e verificano l’assenza di Gesù. Nel
sepolcro ora ci sono solo le bende e il sudario. Il mistero di Cristo
culminante nella Risurrezione prende forma. Maria però non torna con loro a
casa, ma rimane lì a piangere. A lei per prima appaiono gli angeli e poi il
Risorto, che le dice: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al
Padre; ma va dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro,
Dio mio e Dio vostro” (Gv 20, 17). Col cuore in gola per l’emozione, corre
dagli altri discepoli e annuncia festante: “Ho
visto il Signore!” (v. 18).
L’agire del Dio cristiano è misterioso e
straordinario. Egli sceglie di valersi della testimonianza dei pastori e delle
donne per annunciare al mondo la nascita e la risurrezione del suo Unigenito,
mentre la Legge giudaica del tempo non riteneva credibile né la testimonianza
dei pastori, accusati di bestialità e di abigeato, né quella delle donne e dei
bambini. Ma proprio in questo cogliamo un segno della Sua onnipotenza e della
storicità dei Vangeli. Se, infatti, tutto fosse stato inventato, gli
evangelisti avrebbero affidato la testimonianza non a pastori e a donne, ma ad
notabili stimati. Al contrario, illuminati dallo Spirito Santo, comprendono e
narrano semplicemente ciò che è avvenuto, fino alla scandalosa incredulità di
Tommaso che si scioglie soltanto nel contatto con le piaghe del Redentore.
Croce, piaghe e risurrezione compendiano visibilmente l’opera della nostra
salvezza.
Agli occhi del Principe di questo mondo, la Passione di
Cristo, causa della nostra salvezza e della sua sconfitta, è il peggiore e il
più inconcepibile dei crimini, per Dio, invece, la Croce è ad un tempo lo
strumento e il prezzo del trionfo della carne sul peccato e sulla morte. “Gesù
nostro Signore è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato
risuscitato per la nostra giustificazione” (Rom 4, 25). La Croce attua la
Pasqua del Signore e la nostra: “chi ascolta la mia parola e crede a colui che
mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato
dalla morte alla vita” (Gv 5, 24). Pascha
è termine ebraico e non greco, come alcuni credono. Esso non deriva dal verbo
greco "paskein", "patire", ma dal vocabolo ebraico Pascha, che significa passaggio.
Cristo, nostra Pasqua, è passato dalla morte alla vita e ha aperto nella sua
carne l’unica via che porta al Padre. “Che cosa mai – esclama sant’Agostino -
non devono aspettarsi dalla grazia di Dio i cuori dei fedeli! Infatti al Figlio
unigenito di Dio, coeterno al Padre, sembrando troppo poco nascere uomo dagli
uomini, volle spingersi fino al punto di morire quale uomo e proprio per mano
di quegli uomini che aveva creato lui stesso… Come si può dubitare che egli
darà ai suoi fedeli la sua vita, quando per essi, egli non ha esitato a dare
anche la sua morte? Perché gli uomini stentano a credere che un giorno vivranno
con Dio, quando già si è verificato un fatto molto più incredibile, quello di
un Dio morto per gli uomini?” .
Questi misteri noi celebriamo vivendo la Pasqua del Signore.
Risorgendo, Gesù si è sottratto allo scorrere del tempo e si è fatto
“contemporaneo ad ogni uomo”, fino alla consumazione dei secoli. Padre “Tu hai
disposto le cose presenti e le future e quello che tu hai pensato si è
compiuto” (Gdt 9,5) e il tuo Cristo, nostro Salvatore, ha rinnovato nel suo
sangue la nostra vita “che ha inizio in virtù della fede, perché nella speranza
siamo contenti e nella sofferenza siamo pazienti, benché il nostro uomo
esteriore si vada disfacendo mentre quello interiore si rinnova di giorno in
giorno” (2 Cor 4, 16) .